Cantava Francesco Guccini:
"E un giorno ripensi alla casa e non
è più la stessa;
In cui lento il tempo sciupavi
quand'eri bambina;
In cui ogni oggetto era un simbolo ed
una promessa;
Di cose incredibili e di caffellatte
in cucina".
Mi è sempre piaciuto questo
passaggio, poetico come sempre sa fare l'autore e allo stesso
tempo ricco di verità; una verità che coinvolge chiunque
quando, da adulto, prova a soffermarsi sulle mura della casa
dove è cresciuto. E' inevitabile quindi prendere in
considerazione i ricordi, belli e meno belli, che quel luogo
ci propone; ricordi che, piaccia o meno, fanno parte di noi e
costituiscono una buona fetta di ciò che, ormai grandi, siamo
diventati. E allora mi vengono in mente le acciughe al verde
sapientemente adagiate su una fetta di pane per una merenda
di sostanza, con buona pace delle merendine industriali. Mi
viene in mente quando mi alzavo di notte e rubavo i peperoni
con la bagna cauda dal frigorifero e di quanto mia madre, il
mattino dopo, facesse finta di arrabbiarsi perchè tutto ciò
che restava era un contenitore desolatamente vuoto. Mi viene
in mente la convivialità del pinzimonio, ottima scusa per
farmi mangiare verdure, o la ben più apprezzata bourguignonne
dove davo il meglio di me consumando quantità di carne da far
impallidire anche Obelix. E poi il minestrone, le foglie di
cavolo ripiene e mille altri profumi e sapori. Ma in tutto
questo l'unico vero elemento che davvero conta è il contesto;
qualsiasi sensazione che ci riporti alla memoria il nostro
essere stati bambini, non è altro che la trasposizione
sensoriale di un sentimento, di quell'amore che respiravamo
in casa e che si traduceva anche, ma non solo, in quei
profumi e sapori sopra citati. Tutto riconduce all'amore che
abbiamo ricevuto e ci fa da stimolo per darne altrettanto, in
una logica di continuità affettiva di cui il cibo è uno dei
migliori testimoni.