mercoledì 24 novembre 2021

Automatico e manuale

L’esperienza della morte, seppure inevitabile, è una di quelle cose a cui non si fa mai l’abitudine.

Che ci coinvolga da vicino o meno, ci costringe a confrontarci con l’unica certezza della nostra esistenza.

Come in tutte le cose, però, ci sono tanti modi per approcciarsi a questo argomento e spesso, lo dico con rammarico, lo si fa nel modo più becero.

A cominciare dall’attesa della salma davanti alla chiesa, dove si fa il solito mercato, tra commenti e risate per poi muoversi all’unisono al momento dell’ingresso, anelando alle prime posizioni, in una sorta di esasperazione di presenzialismo e protagonismo;

il meglio arriva poi durante la funzione, dove il mercato abbassa i volumi, ma le contrattazioni continuano in un tanto costante quanto fastidioso sottofondo che fa da live motive a tutta la messa.

La vera chicca, però, sono i cellulari che iniziano a suonare un po’ qui e un po’ là, con i riceventi che li tirano fuori dalle tasche, guardano da chi arriva la chiamata e poi la rifiutano, mentre dall’altra parte della chiesa una musichetta preannuncia l’arrivo di un messaggio che viene prontamente letto e, nei casi più clamorosi, si improvvisa anche una risposta veloce.

A completare il quadretto, di norma, c’è un celebrante che ha la stessa capacità di infondere speranza nei convenuti, di quella che aveva Hitler nell’infonderla ai deportati nei campi di concentramento.

Al termine della funzione, c’è il percorso a ritroso per uscire, non senza aver partecipato alla classica fila all’italiana per salutare i parenti dell’estinto.

Ora, per carità, lungi da me il voler giudicare, né tanto meno il voler essere bigotto, ma mi pare che per l’ennesima volta sia evidente come vi sia una totale mancanza di educazione, di sensibilità, di rispetto o perlomeno di buon senso.

Il gesto, non dico di spegnere, ma almeno di silenziare un cellulare dovrebbe essere automatico;

il rimandare a dopo le chiacchiere dovrebbe essere automatico;

partecipare, che sia attivamente o che sia passivamente, alla funzione, dovrebbe essere automatico.

Saper dare il vero senso alla morte, almeno quello Cristiano visto che si è in una chiesa, dovrebbe essere automatico;

 

Viviamo in un’era in cui tutto tende ad essere automatico, tranne la nostra capacità di comportarci da esseri umani: quella la gestiamo ancora in manuale……e male.

 

Il mio nome è speranza (piccolo racconto inutile)

E’ buia questa strada, eppure è mattino inoltrato di una bella giornata di primavera; la gente passeggia, chiacchiera e contratta sul prezzo della merce esposta nel mercato. E’ tutto un via vai di volti anche se molti di loro non posso vederli, so solo che sono donne come me. Questo velo che ci portiamo addosso ci rende tutte uguali, quasi ad annullarci come persone, quasi ad ammonirci come indegne di mostrarci per quello che siamo; a volte può essere un vantaggio, fare una smorfia indispettita senza essere vista è persino divertente, ma il divertimento dura poco, sopraffatto dal lamento costante che la nostra anima continua a recitare nella nostra testa e nel nostro cuore.
Passeggio, osservo, contratto perchè non posso spendere troppo, rischierei l’ira di chi mi aspetta a casa, di chi, in nome di Dio, mi racchiude in questo sarcofago di cotone per nascondermi agli occhi del mondo.
Giungo nella piazza principale del paese; c’è tanta gente, urlano, imprecano, puntano il dito, hanno pietre in mano. Ancora una lapidazione, ancora una punizione divina, ancora un omicidio che passerà inosservato, anzi peggio, che sarà legittimato, benedetto, ritenuto necessario per mantenere l’ordine, la disciplina, la fede.
Fede, parola strana se mi permettete il pensiero, perchè almeno quello non può essere udito e quindi punito.
Fede sta per fiducia e fiducia sta per contare su qualcuno sapendo che farà solo il nostro bene; eppure fatico a considerare come un bene il venire torturati e uccisi. Ma del resto cosa ne so io che nemmeno sono capace di leggere e scrivere: sposa a 12 anni, madre a 13, a 14, a 15, vecchia a 25. Cosa ne so io di cosa è bene e cosa non lo è; mi permetto di avere pensieri miei sapendo di peccare di superbia, perchè non dovrei averne: c’è chi può e deve pensare per me e indicarmi la via corretta per la mia vita.
Intanto tutto è pronto per il macabro rito della lapidazione e leggo, negli occhi dei numerosi intervenuti, l’ansia di scagliare la prima pietra (che strana espressione, non ricordo dove l’ho sentita).
Osservo ciò che accade per ricordarmi cosa mi potrebbe capitare se non rispettassi le regole e con un po’ di vergogna, ringrazio di non essere io lì, al centro della piazza a fare da bersaglio a tutta questa gente.
Vedo occhi rossi di odio, bocche da cui escono parole di disprezzo, mani e braccia che raccolgono e tirano sassi come se davanti si trovassero il demonio in persona.
Guardo e per una volta ringrazio di avere questo velo, perchè può nascondere le mie lacrime, celare la mia bocca serrata quasi a condividere il dolore di quella donna, proteggermi dal male del mondo come fanno le coperte del letto con i bambini, quando credono che ci sia un mostro nascosto dentro il loro armadio.
Guardo l’odio mascherato da giustizia, l’ignoranza travestita da fede, la follia scambiata per volontà divina…guardo e penso che tutto questo non può essere vero, penso che nessun Dio vorrebbe questo per il suo popolo, penso che tutto sia una immensa bugia che da secoli ci viene imposta per tenerci schiavi di noi stessi…penso anche se non dovrei farlo, ma lo faccio perchè non ho altro.
Fra tutti, c’è un uomo che non sta partecipando allo spettacolo, non attivamente perlomeno; anche lui guarda, trema ad ogni colpo mostrando nel volto e negli occhi una sofferenza molto simile alla mia, solo che lui non ha nulla che lo possa nascondere; so bene chi è perchè la donna al centro della piazza è la sua compagna da una vita, una vita che sta per finire perchè quella donna gli è stata strappata dalle mani e dal cuore da coloro che si arrogano il diritto di decidere per tutti.
Lui guarda, forse prega e a giudicare dallo sguardo è una preghiera sincera, di quelle che sanno di pietà, di misericordia, di amore.
Guarda fino alla fine, fino a quando persino la morte diventa una cosa da augurare a chi si ama, perchè quando si ama qualcuno non si può sopportarne una tale sofferenza; quando tutto finisce e la sete di sangue è placata, la gente si allontana mentre le spoglie della vittima di turno vengono malamente gettate su di un carro senza nemmeno quella dignità che si riserverebbe anche ad un animale; e poi solo un assordante silenzio fatto di urla mai gridate, lacrime mai piante, parole non dette.
Quell’uomo è ancora lì ad osservare mentre la sua sposa parte per il suo ultimo viaggio; non le ha potuto evitare il martirio, ma non l’ha colpita, non l’ha fatto, non avrebbe mai potuto farlo. So che per molti di voi sembrerà poco perchè in realtà avrebbe dovuto difenderla, ma dovete comprendere che noi non possiamo godere della libertà di andare contro il sistema, a meno di accettare che questo vorrebbe dire morire: quella pietra non lanciata, quella sofferenza palesata, quella preghiera recitata, quello sguardo pieno di amore e pietà sono una rivoluzione forse più potente di quante ne fate voi nelle piazze.
E’ una rivoluzione perchè è il segnale che un pensiero diverso c’è e sebbene occorreranno anni o forse secoli perchè abbia la meglio, il suo sopravvento sarà inevitabile; io lo so, anche non so leggere e scrivere.
Conosco bene quell’uomo e so che è un uomo giusto; però che strano, non ho mai saputo il suo nome, ma poco importa: per me, da oggi lui si chiama speranza.

Lettera alle mie figlie

Voglio dirvi che la vita non è facile, ma ne vale la pena;

Voglio dirvi che una cosa conquistata vale molto più di una cosa regalata;

Voglio dirvi che dovete inseguire i vostri sogni, perché lì c’è la vostra felicità;

Voglio dirvi che la vostra felicità è direttamente proporzionale a quella degli altri;

Voglio dirvi che vi sgrido sempre, ma io ero peggio di voi…molto peggio;

Voglio dirvi che sono geloso di voi;

Voglio dirvi che quello che sogno per voi è che siate delle buone persone;

Voglio dirvi di ricordarvi di papà e mamma nel caso diventiate ricchissime;

Voglio dirvi che con 3 donne in casa, un bagno solo era davvero poco;

Voglio dirvi di non smettere mai di lottare per le cose in cui credete, anche se questo vi costasse caro;

Voglio dirvi che la felicità passa dalle piccole cose;

Voglio dirvi di avere pazienza, il “tutto subito” inaridisce l’anima;

Voglio dirvi di ricordarvi di Dio;

Voglio che chiediate scusa quando ci deludete;

Voglio chiedervi scusa per le volte che vi ho deluso;

Voglio dirvi che mi vergogno del mondo che vi stiamo lasciando;

Voglio dirvi che sono fiero di voi, qualunque cosa accada;

Voglio dirvi che io ci sarò sempre;

Voglio dirvi che vi voglio bene.

 

Cuore e coltelli

Iniziava la colonia, come ogni anno, ma per me era un anno particolare, perchè per la prima volta avevo la responsabilità diretta di una delle squadre nelle quali i bambini venivano divisi. Alla partenza da Torino l’accoglienza è delle migliori: lo sappiamo bene che la maggior parte di quei ragazzini arriva da situazioni difficili, lo sappiamo perchè molti di loro ci sono stati mandati dai servizi sociali e quindi è nostro dovere farli sentire accolti nel migliore dei modi. Uno di loro, un po’ più sbruffone degli altri, mostra un coltello a un amico e convincerlo a darlo ad un animatore non è cosa semplice.

Arrivati a destinazione, ci si sistema nelle varie camere e poi si fa colazione prima di comunicare le varie squadre. Guarda caso, l’accoltellatore pazzo me lo cucco io, con immensa gioia e soddisfazione! La colonia inizia e prosegue con una certa tranquillità: qualche animo da calmare ogni tanto, ma niente di serio. Il teppistello non pare prestare troppa attenzione alle attività che si fanno; partecipa ai giochi con una certa distrazione, a meno che non ci sia un pallone da calcio di mezzo, allora si scatena, soprattutto se perde…Prepariamo anche le scenette per la serata teatro, ma il soggetto di cui sopra, nonostante abbia il ruolo da protagonista, non ne vuole sapere…e va beh, sarà una schifezza, ma poco importa, l’importante sarà divertirsi (classico pensiero di autoconvincimento prima dell’imminente catastrofe). Come per magia, la sera dell’esibizione, jack lo squartatore non sbaglia un colpo: battute, ingressi in scena, persino una certa serietà nell’assumere le espressioni facciali adatte alla circostanza…un successo inaspettato.

A questo punto entro un po’ in crisi (positiva): forse stiamo facendo un buon lavoro e forse, tutto sommato, i bambini sono sempre bambini, nonostante tutto.

Arriva il giorno del torneo di calcio, dove ovviamente facciamo giocare tutti insieme: bambini e bambine insieme, ognuno che contribuisce come può e come riesce. Ma il serial killer no, per lui è una questione di onore e quando vede che si sta perdendo e anche male, ricomincia a fare lo sbruffone, piange, impreca, esce dal gioco. Mi ricordo ancora il cazziatone che gli ho fatto dentro una delle porte, mentre raccoglieva il pallone dopo l’ennesimo gol avversario: un cazziatone per fargli capire che, anche se lui è un fenomeno, deve avere rispetto dei suoi compagni che, in quel momento, stanno dando l’anima nonostante sia evidente che non c’è trippa per gatti…e ricordo ancora che subito dopo, prende palla, si fa fuori mezza difesa e va a fare un gol tanto coraggioso quanto inutile…inutile ai fini del risultato, ma fondamentale per il morale della squadra e soprattutto del maniaco assassino.

Una sera, il fratellino più piccolo del delinquente, non sta bene e dopo una lunga e intensa indagine, scopriamo che vorrebbe che il fratello maggiore dormisse con lui…traslochiamo l’homo violentus nella camera del malato e lo osservo con un certo stupore mentre si sistema accanto al fratello, gli asciuga le lacrime e gli prende la mano per farlo calmare; la notte passa tranquilla e il giorno dopo mister affettatore, va a trovare il convalescente almeno 10 volte…mah.

Si arriva alla fine della colonia e finalmente c’è l’asta dei giocattoli: i punti che ogni squadra ha accumulato vengono trasformati in soldi virtuali coi quali ognuno può cercare di comprare ciò che gli piace, proprio come ad un’asta vera.Dopo qualche preliminare di scarso interesse, arriva il pezzo forte: pallone di cuoio ufficiale di seria A.

Io sono seduto al fianco dell’aspirante killer e cerco in utti i modi di fargli prendere il tanto agoniato premio, perchè se lo merita davvero. Dopo svariati rilanci, non c’è altra soluzione se non puntare praticamente tutto ciò che si ha, ma lui non vuole e non capisco perchè…non lo voleva tanto sto cavolo di pallone? Alla fine ce la fa (se non ce la faceva il battitore dell’asta o accoltellavo io) e finalmente si può godere il suo pallone nuovo fiammante. Lo guardo contento e fiero e lui che cosa mi fa? – piange. Non dico, ragazzino, io mi sono fatto un culo così per farti prendere sto pallone, ho anche corrotto il battitore e adesso piangi? ma dico, sei fuori?…lui mi guarda e mi spiega che piange perchè non ha più soldi per comprare un regalo per la sorellina che è rimasta a casa perchè troppo piccola.

Dire che mi sono sentito piccolo è riduttivo: tutto mi sarei aspettato, ma non questo, non ero preparato a un evento simile…mi alzo, sussurro qualcosa all’orecchio del battitore e poco dopo ci scappa anche una bambolina, clamorosamente battuta a prezzo ridottissimo…un’offerta speciale per un cuore speciale.

Io pensavo che avrei fatto del bene in quelle due settimane di colonia, ma mi sono reso conto che un tepistello di strada di nove anni ha fatto del bene a me e per questo gli sarò grato in eterno.

Non ho più saputo nulla di quel bambino, ma spesso ci penso e spero che ce l’abbia fatta, che sia riuscito a conquistare una vita bella e serena. Per quanto mi riguarda, posso solo dire che ho imparato a vedere le cose con occhi diversi ed a comprendere che spesso la luce più brillante si nasconde in una zona d’ombra e aspetta solo di essere liberata per splendere e illuminare chiunque la incontri.

Nota di colore e assolutamente superflua: quell’anno la colonia l’abbiamo vinta noi e ora capisco perchè!

In loving memory

Per ricordare chi non c’è più, occorre sempre far passare l’ondata emozionale che, se cavalcata, rischia (e spesso riesce) a produrre tanto giustificati quanto banali commenti (nell’era dei social poi arriviamo al quasi scandaloso e lo dice un loro frequentatore)

Quindi sono qui, in un luogo dove nessuno o quasi leggerà le mie parole, per ricordare un uomo scomparso pochi anni fa, trovandomi nel pieno di quella ondata emozionale che ho citato pocanzi. Quel “nulla accade per caso” di cui sto facendo un po’ il live motive della mia vita, lui lo chiamava con fede “provvidenza” e questa non lo ha mai tradito, come lui non ha mai tradito i ragazzi e le ragazze che lo hanno seguito nel suo cammino di servizio e di educatore.

Pochi giorni perima della sua partenza per una vita migliore, seduti uno accanto all’altra su di una panca di fronte alla casa madre della comunità che lui tanto ha voluto e realizzato, abbiamo fatto un piccolo calcolo di quante persone, in 40 anni, sono passate di lì, anche solo per pochi giorni: a circa 100.000 ci siamo fermati, che l’ora era tarda e lo sforzo mnemonico richiesto era un po’ troppo impegnativo, soprattutto dopo una giornata passata tra cemento, pentole da lavare, stanze da pulire, ragazzini da seguire e tante altre piccole cosette che, quotidianamente, scandiscono le giornate all’OASI di Maen, piccola frazione di Valtournanche in Val d’Aosta (http://www.oasimaen.it/). Amava ripercorrere la storia di quel posto, forse perché le persone anziane (aveva 76 primavere sulle spalle), proprio perché sanno che il loro tempo è quasi scaduto, spesso cedono ai ricordi, un po’ per nostalgia, un po’ per fare un bilancio della propria vita, un po’ per lasciare la loro eredità a chi viene dopo, i giovani; quei giovani a cui lui ha dedicato una vita intera.

Certo come ognuno di noi, non aveva un carattere facile, ma essere educatore nel senso più stretto del termine, non prevede falsi buonismi: richiede invece enorme dedizione, durezza quando serve, capacità di ascolto, efficiacia nel trasmettere e nel far vivere valori oggi poco citati e ancor meno praticati. Molti di noi hanno imparato il vero significato di cose come SERVIZIO – GRATUITA’ – COMUNIONE – INSIEME – FATICA – PAGARE DI PERSONA – ALTRUISMO – RESTITUIRE – AMICIZIA – FEDE. Non imparato su noiosi fascicoli da catechesi di massa, ma imparato vivendole sulla propria pelle, ogni giorno, ognuno secondo le proprie capacità e secondo la propria sensibilità.

E ognuno di noi quelle cose se le porta dentro, anche chi non lo vuole ammettere: l’OASI di Maen è così, una volta dentro, non ci esci più. Ed è vero, quel posto, anzi le persone di quel posto e il modo di viverlo, ti entrano dentro e dentro ti restano, scavano, riemergono, ti mancano. Questo modo di vivere è stato lui a trasmetterlo, lui con la sua fede incrollabile e io credo che prima che in Dio, lui avesse fede negli uomini e nella loro capacità di poter creare dei se stessi migliori e, di riflesso, un mondo migliore (lo so, fa tanto Miss Italia, ma concedetemi la licenza nazional popolare). Un uomo che amava rimboccarsi le maniche (anche fisicamente le aveva sempre tirate su) e spingeva tutti a farlo.

Un uomo molto concreto, che conosceva la vita e le sue difficoltà; è significativo, in tal senso, che quando diceva cosa era davvero importante secondo lui, non parlava mai di Dio, di Gesù, della fede: lui diceva sempre: “le tre cose importanti nella vita sono la salute, gli affetti e il lavoro”. Certo la fede per lui era cosa fondamentale, ma sempre vissuta calandola appieno nella realtà che lo circondava, con tutte le contraddizioni del caso, comprese le sue. Ci lascia un’eredità difficile, ora sta a noi far sì che tutto il suo lavoro possa continuare ad avere un senso, anzi IL senso che lui ha saputo dargli e trasmettere a più di 100.000 persone.

Era un grande educatore, era un grande sacerdote salesiano, era un grande dirigente sportivo, a volte era un gran rompiballe……era merce rara: era semplicemente un Uomo (e la maiuscola non è casuale).

(con gratitudine e in ricordo di Don Aldo Rabino, 1939 – 2015)

lunedì 22 novembre 2021

Siamo tutti Fonzie

fidùcia s. f. [dal lat. fiducia, der. di fidĕre «fidare, confidare»] (pl., raro, -cie). – Atteggiamento, verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità [...]

(Fonte: vocabolario Treccani online)

Il mondo di oggi, ma non credo che in passato fosse molto diverso seppur con altri parametri, tende a creare un forte sentimento di sfiducia da parte della gente nei confronti del prossimo.

Di contro sembra che tale sentimento non venga un granchè applicato verso se stessi, il che si traduce spesso nell'incapacità o nella mancanza di volontà di mettersi in discussione, che poi è un modo elegante per esprimere il concetto, ormai assimilato da molti e introdotto con mirabile stile da un grande Alberto Sordi ne "Il marchede del grillo", ovvero: "io sono io e voi non siete un cazzo".

Eppure viviamo un'intera esistenza ponendo la nostra inconsapevole fiducia verso qualcuno e molto spesso di quel qualcuno non conosciamo nè nome, nè tantomeno il volto, figuriamoci il curriculum o le competenze.

Nel confort delle nostre casette confidiamo che l'architetto le abbia progettate bene, che gli artigiani le abbiano costruite altrettanto bene, che gli impianti siano sicuri: insomma che non ci crollino in testa al primo alito di vento.

Usciti di casa prendiamo la nostra bella macchinina per andare al lavoro o dove ci pare, confidando che se schiacciamo il pedale centrale la macchina freni perchè progettata bene, costruita bene, manutenuta bene dall'officina di fiducia (ops, ho detto fiducia).

Presi dai nostri mille impegni, perchè siamo persone di mondo, mica bau bau micio micio, ci fermiamo velocemente in un locale per mangiare un boccone confidando che il cibo sia fresco, correttamente conservato e debitamente cucinato: insomma che non faccia proprio schifo e non ci faccia morire di qualche malattia rara.

In attesa di riprendere le importantissime cose che abbiamo da fare, uno sguardo veloce allo smartphone per aggiornare il nostro profilo sui social comunicando al mondo dove siamo, cosa abbiamo mangiato, dove stiamo andando, ecc ecc. confidando sul fatto che a nessuno, leggendo, venga in mente di svaligiarci casa perchè capisce che siamo fuori.

Magari facciamo anche qualche piccolo acquisto online, confidando che la sicurezza dei nostri dati bancari venga garantita sia dalla nostra banca, sia dal soggetto da cui compriamo.

Incrociamo decine, centinaia di sconosciuti ogni giorno e confidiamo che nessuno di loro ci faccia volontariamente del male.

Senza parlare di quando mettiamo letteralmente la nostra vita in mano a qualcun altro, sia esso un pilota di aerei, un medico, un semplice autista di autobus, ecc. ecc. ecc.

Viviamo in un costante atteggiamento di fiducia, anche se non ce ne rendiamo conto e, come recita la definzione data dal vocabolario Treccani, la fiducia è la diretta conseguenza di una serie di valutazioni che fanno sì che ci si senta ragionevolmente al sicuro in una data situazione, anche se non vi può essere una certezza assoluta (del resto di certo c'è solo la morte, oltre al fatto che gioco a basket da schifo e che suono la chitarra in modo scandaloso).

In sintesi ci fidiamo perchè, per un calcolo delle probabilità, le possibilità che avvenga un evento per noi dannoso sono molte meno di quelle che tale evento non si manifesti, pertanto ci sentiamo in qualche modo garantiti.

La distorsione che questi strani tempi portano con sè è che proprio laddove determinate garanzie statistiche siano rafforzate da comprovata esperienza, studi specifici, anni di pratica, professionalità dimostrata e via di questo passo, in qualche modo ci si senta in diritto dubitare (il che è lecito) e di controbattere quasi sempre senza averne le competenze (e questo non è lecito).

Ormai un atto di fiducia sta diventando semplicemente un'estensione delle nostre convinzioni, estromettendo di fatto dal nostro modo di pensare, un concetto tanto semplice quanto, pare, così difficile da assimilare: "dove non so e non posso arrivare a sapere abbastanza, devo necessariamente fidarmi di chi sa molto più di me e al massimo chiedere maggiori informazioni".

Invece semplicemente ci fidiamo (o crediamo di farlo) dove ci fa comodo, carichi delle nostre certezze per le quali cercheremmo conferma da qualsiasi fonte, pur di non doverle mettere in discussione.

Stiamo diventando dei piccoli Fonzie terrorizzati al solo pensare di dover pronunciare le parole "ho sbagliato"; se almeno ci fossero ancora i juke box, potremmo mettere su un po' di musica colpendoli con perizia al grido di "Hey", e invece nemmeno questo.

Del resto, quando si è assuefatti al suono della propria voce, non c'è più spazio per altro.

Occorre però fare attenzione, perchè ad essere troppo pieni di sè si rischia una bella indigestione di ego e potrebbe essere davvero un'esperienza dolorosa: fidatevi!

giovedì 18 novembre 2021

Camminare

C’è un sottile piacere nello spostarsi a piedi lungo le vie e i vicoli del paese, di prima mattina.
L’aria fresca (a dire il vero fredda) colpisce come uno schiaffo la faccia e i polmoni, con l’innocenza e la freschezza che a breve perderà, caricandosi di gas di scarico.
Il sole ancora non ha intenzione di farsi vedere e tutto sembra avvolto nel dolce manto del sonno, salvo qualche sporadico passaggio di auto e qualche finestra da cui si spande una luce che porta con sé la promessa di un buon aroma di caffè.
I tratti di corso Matteotti, via Albussano e parte di vicolo Albussano sono privi di marciapiede, il che mi costringe a camminare rasentando così tanto il muro, che mi sento un po’ uomo ragno, ma lo scarso traffico rende il cammino comunque agevole.
Come ogni mattina, noto le stesse auto, parcheggiate nello stesso posto, quasi a rassicurarmi che tutto è come deve essere.
Non incontro anima viva il che per un uomo (inteso come maschio), che per definizione è in grado di interagire con un altro essere umano non prima delle 10:00 – 10:30, è la condizione ideale.
Arrivo alla rotonda del Mercatò e imbocco piazza Europa, dove alcuni banchi del mercato sono già quasi completamente allestiti; ambulanti in piena attività si prodigano a montare strutture e scaricare merce che da lì a poco sarà contesa da un fiume di persone che invaderà la piazza e le vie circostanti. Sento il freddo nelle ossa e non invidio certo quei lavoratori che quel freddo lo sentiranno per gran parte della mattinata, mentre io sarò comodamente seduto alla mia scrivania godendo di una temperatura decisamente più confortevole.
Al fondo di piazza Europa, punto dritto verso la stazione per unirmi ai già presenti capannelli di viaggiatori che si incamminano verso il binario 1.
Salgo e mi accomodo, preferibilmente accanto ad un finestrino per poter godere della vista del mondo che scorre dietro quella lastra di vetro.
Metto le cuffiette e sintonizzo la radio sul 90.9 di Radio Freccia, perché non c’è inizio migliore di quello regalato da un po’ di sano rock: se sono fortunato, magari passano qualche pezzone di quelli che mi fanno venire la pelle d’oca anche se hanno quasi i miei anni.
Poi apro whatsapp e, come ogni mattina, mando il buongiorno alla persona che ha preso la residenza nel mio cuore…quella persona che cercavo da sempre e che la vita mi ha fatto incontrare non senza avermela fatta sudare…e proprio per questo il suo valore è assoluto. Scrivo e sorrido sapendo che quel messaggio sarà un po’ la sua sveglia.
Il ragazzo seduto di fronte dorme come se non lo facesse da giorni; dal suo cappuccio nero sbucano ciuffi di capelli biondissimi e la sua mano destra, con un anello al pollice, tiene in mano lo smartphone dotato una cover dal color verde fluo (i gusti son gusti)...chissà quale musica passa dalle cuffiette che porta nelle orecchie, ammesso che lui la senta…resta immobile per due fermate, il che inizia a preoccuparmi, fino a rendermi conto che è vivo perchè noto leggeri movimenti volontari della testa.
Il suo vicino gioca in modo accanito sullo schermo crepato del suo telefono senza mai alzare gli occhi.
Su un sedile della fila di fronte, un ragazzino sui 14 anni, giacca a vento turchese e occhiali un po’ da nerd, sfoglia appunti, probabilmente per fissare gli ultimi concetti prima di una interrogazione o di una verifica, riportandomi alla mente cose che facevo tanti, troppi anni fa…certe cose non cambiano mai.
Dal finestrino osservo le prime luci che restituiscono alla vista filari di alberi spogli, ma che esibiranno uno spettacolo ben più colorato tra poco più di un mese testimoniando, in perfetta coerenza, il ciclo della vita.
Si susseguono centri abitati che mi sono familiari: lì ci ho lavorato qualche mese, lì ho fatto un colloquio, in quel concessionario sono andato a vedere una vettura…
La ragazza col Piercing al labbro salita a Trofarello non trova posto a sedere, ma la cosa non sembra seccarla; ha trovato amici con cui parla sorridendo, scandendo con le parole il tempo del viaggio che la separa dalla sua meta.
Si scende al Lingotto e si sale sul bus, che grazie alla colorata e vivace presenza di tanti studenti, è piuttosto intasato, tanto che non riesco ad arrivare alla bollatrice.
Il ragazzo che sul treno giocava con lo smartphone scheggiato, è salito sullo stesso bus e mi prende l’abbonamento dalle mani per timbrarmelo, gesto che mi conferma come i ragazzi siano molto meglio di come di solito li dipingiamo (per inciso, gli “adulti” vicino a lui se ne sono altamente sbattuti i gabbasisi del mio abbonamento di bippare).
Fermata dopo fermata i ragazzi scendono e si avviano con scarso entusiasmo verso la giornata di scuola che li attende.
Con altrettanto scarso entusiasmo, anche noi adulti scendiamo per recarci al posto di lavoro.
Lungo il tragitto che mi separa dal cancello di ingresso, mi godo ancora un po’ di musica; l’aria non è la stessa di un’ora prima, ma conserva ancora una parvenza di respirabilità.
All’ultimo semaforo prima dell’ingresso in azienda un gentile automobilista, in barba ai suoi colleghi fermi al semaforo che ricorda di stare fermi sfoggiando un bel rosso fuoco, decide di diventare improvvisamente daltonico e tira dritto verso nuove e incredibili avventure; lo noto, ma non rallento il passo e lo costringo a lasciare 15 euro di pneumatici sull’asfalto…comprendendo la sua frustrazione, gli lascio sul parabrezza il biglietto da visita di un gommista mio amico…prezzi modici, servizio impeccabile.
Finalmente arrivo in ufficio; il consueto “buongiorno” dà inizio alle 8 ore di lavoro terminate le quali farò il tragitto a ritroso, con panorami simili, aria un po’ più pesante, volti diversi…e ogni aspetto di questo viaggio quotidiano in qualche modo inciderà, anche solo temporaneamente, sul il mio umore, sul mio modo di osservare la vita, sulla vita stessa.
Sì, c’è un sottile piacere nello spostarsi a piedi lungo le vie e i vicoli del paese, di prima mattina…nell’osservare le persone intorno a me, nell’assaporare lo scorrere del tempo e di come questo scorrere muti continuamente la realtà che mi circonda…
È il piacere di sentirmi parte di quella cosa che chiamiamo vita.

Attimi

Fermo al semaforo con il finestrino abbassato per respirare il tepore del sole, ancora caldo.

Intorno, il silenzio della domenica all'ora di pranzo, interrotto solo dal fruscio delle foglie mosse e staccate dal vento, in una danza di colori e una pioggia rossa che delicatamente si poggia a terra per ricordarci che il generale inverno è alle porte.

In sottofondo Francesco Guccini canta le sue poesie che dalle casse dell'auto entrano direttamente nel cuore; il desiderio che il tempo si fermi è solo un sogno a occhi aperti, ma un istante solo è valso un'intera giornata.

lunedì 15 novembre 2021

Alba e tramonto

Ci sono persone che sono come l'alba: emergono pian piano e nel loro crescere portano luce, calore e colori.

Ci sono persone che sono come il tramonto: affascinanti, romantiche, piene di colori, ma durano poco e dopo resta solo il buio.

Il tramonto è sopravvalutato.

I matti non hanno il cuore

“I matti non hanno il cuore, o se ce l’hanno è sprecato…”

(Francesco De Gregori – I matti)

Curiosamente noto, in una via Garibaldi affollata, che tutti o quasi hanno l’espressione seria, alcuni annoiata, altri decisamente segnalatrice di un livello di scazzo ormai in rosso fisso…scena che si ripete ogni volta che passeggio per Torino, dove la maggior parte della gente, nonostante sia in giro a godersi il proprio tempo libero, sembra che sia più incazzata di quando quel tempo lo deve occupare in quell’attività tanto criticata quanto cercata che è il lavoro.

A interrompere il mio osservare arriva la musica lontana di una banda che suona la marcia dei bersaglieri; è il primo giugno e immediatamente penso a una anticipazione della festa della repubblica, percui inizio a guardarmi in giro per capire da dove arrivino quelle note, attendendo il passaggio dei musicisti col caratteristico copricapo.
La musica è sempre più vicina, ma della banda nemmeno l’ombra e inizio a dubitare del mio udito, anche perché nessuno sembra imitare il mio atteggiamento.

Poco dopo scopro il perché: un signore sulla sessantina, alto abbastanza da poterlo definire basso, molto basso, sta passeggiando a passo spedito portando sulle spalle uno zaino da cui escono due casse che fans del trap levatevi proprio. Quelle casse sono l’origine della marcia che lui trasmette senza soluzione di continuità per tutta la via.
Cammina e quando incrocia uno sguardo sorride e con un cenno del capo tanto delicato quanto educato, saluta e prosegue nella sua marcia senza curarsi di nulla, fiero e contento di fare quello che fa.

Nulla di così strano, tutto sommato, se non per il fatto che mi rendo conto che tutte quelle facce, prima incazzate, annoiate e scazzate, ora hanno un sorriso stampato sulle labbra mentre commentano lo strano fuori programma.

E forse “i matti non hanno il cuore o se ce l’hanno è sprecato”, ma il dono del sorriso è un atto che va oltre la pazzia, oltre il cuore stesso…è un minuscolo dono del creato, contagioso nella sua semplicità, candido nella sua purezza, potente nella sua immensità…

E allora, caro signore, continui a marciare con le sue casse portando un sorriso a chi incontra, perché forse i veri pazzi siamo noi. 

Il centro di tutto

Non mi sono mai posto il problema del concetto di famiglia legato alla eterosessualità della coppia, convinto che ci sia famiglia ovunque siano presenti amore e sostegno reciproco…ed è evidente che la follia del genere umano possa risiedere in qualsiasi contesto, sia questo associato alla parola “normale” (nel suo significato nazional cattolico bigotto perbenista), o associato a coppie di diversa composizione.
Quindi leggere, per l’ennesima volta, di una ragazzina di 13 anni violentata ripetutamente dal papà, con il silenzio e a volte la complicità della mamma, dimostra che i valori da difendere non sono quelli che di facciata ci rassicurano che tutto è come deve essere (ma poi com’è che deve essere?), ma sono quelli che garantiscono un ambiente dove le persone vivono in armonia tra loro, garantendo a se stesse e a chi le circonda, una vita serena dove poter crescere circondati da quell’affetto e quelle attenzioni che concorrono in modo fondamentale a creare esseri umani e non mostri o vittime.
Occorrerebbe ragionare molto su questo, anziché declamare slogan preconfezionati con l’unico obiettivo di colpire gli elettori sulla pancia.
E questo vale per qualsiasi parte coinvolta in questo dibattito.

Se il centro di tutto non è l’amore, allora è un centro sbagliato. 

Dalle stalle alle stelle

Il 27 novembre 2018 non ha certo brillato nel firmamento dei trasporti ferroviari, perlomeno non nella tratta Rivarolo-Chieri; appena giunto alla stazione del Lingotto, per fare ritorno a casa dopo una giornata di lavoro, osservando il tabellone delle partenze ho subito intuito che sarebbe stato un lungo viaggio…gli indizi erano chiari, tipo “ritardo 45 minuti” o un decisamente più inquietante “Cancellato”.

Dagli altoparlanti comunicano che un guasto tra le stazioni di Trofarello e Chieri comporterà ritardi a cancellazioni, ultimando l’annuncio con l’ormai evergreen “ci scusiamo per il disagio” che è diventato un classico come e forse più di “Nel blu dipinto di blu” di Domenico Modugno…se si facessero pagare i diritti SIAE per quella frase, le ferrovie italiane sarebbero la prima potenza economica mondiale.

Fermo al binario 4, ascolto gli annunci e osservo le rotaie come un cane osserva la ciotola del cibo vuota, in attesa che il miracolo si compia e appaia come per magia il treno che mi riporterà a casa. Miracolo che sembra arrivare quando viene annunciata la partenza del convoglio per Chieri al binario 1.

L’esodo biblico dei passeggeri si compie nel sottopasso lingottiano (o lingottese? vabbè non è importante); un popolo stanco e mediamente esasperato che accoglie questa partenza come un segno della bontà divina.

Il sospiro di sollievo però dura il tempo di due fermate perchè giunti a Trofarello ci viene comunicato che il treno termina la corsa e non prosegue.

La sensazione è la stessa che si proverebbe se ci facessero vedere i regali sotto l’albero e, all’ultimo momento, ci dicessero che non sono per noi.

Il clima generale spazia dalla rassegnazione alla rabbia, con un inizio di imprecazioni così fantasiose da meritare di prendere qualche appunto, che nella vita servono sempre nuove forme di insulto.

Consulto il tabellone delle partenze e leggo che al binario 5 arriverà, con un inevitabile ritardo di 25’, il prossimo convoglio; mi piazzo e attendo fiducioso, mentre al binario 6 c’è ancora un capannello di passeggeri che discute animatamente con il macchinista, confermando la tendenza a prendersela con chi non c’entra una beata mazza con le situazioni che ci recano disagio:

al ristorante il cibo non è buono? me la prendo col cameriere.

al supermercato ci sono troppe poche casse aperte? me la prendo con le cassiere.

il treno si ferma a Trofarello? me la prendo col macchinista.

Essere l’interfaccia col pubblico è il lavoro più rischioso e meno gratificante del mondo.

A frantumare ogni speranza di viaggiare ancora su rotaia, arriva l’ennesimo annuncio che avvisa della presenza di un pullman sostitutivo pronto nel piazzale adiacente alla stazione.

Ennesimo spostamento con esito incerto, in quanto del suddetto pullman non vi è ancora traccia, se non nella fantasia scatenata da un processo mentale di disperazione che ti fa vedere un autobus anche guardando una fiat 500 del 1971.

Intanto valuto le alternative possibili:

1)

Taxi: tempo stimato di arrivo a casa 25 minuti
Costo stimato: 30 euro
Esito: bocciato

2)

Autobus 45 fino a Cambiano e proseguimento a piedi fino a casa: tempo stimato di arrivo 1,5 ore
Costo: zero
Rischio di essere investito durante il tragitto pedestre: alto
Esito: bocciato

3)

Dormire in stazione a Trofarello: tempo di arrivo a casa 24 ore
Costo: zero
Possibilità di racimolare qualche euro venendo scambiato per un clochard: scarsa
Rischio di venire cacciato per vagabondaggio: alto
Esito: bocciato

Terminate le opzioni e gran parte delle energie, mi rassegno ad attendere il tanto famigerato bus, quando l’inaspettato si materializza nella figura di una giovane ragazza che mi si avvicina e mi chiede cosa sia successo, incuriosita dal volume di persone ferme davanti alla stazione.

La breve spiegazione che le fornisco è utile a scatenare quella roba di cui tanto riempiamo i nostri post sui social, ma che stentiamo a materializzare in gesti concreti: la solidarietà.

La ragazza in questione fa semplicemente un rapido calcolo: sono in macchina e vado a Chieri, ho 4 posti vuoti che equivalgono ad altrettante persone che posso trasportare fino a casa o quasi…e siccome la matematica non è un’opinione, al contrario della solidarietà che più che un’opinione è sempre più un’eccezione alla regola del cinismo, si offre di accompagnare 4 di noi fino alla stazione di Chieri, da cui poi ognuno proseguirà come è solito fare.

Il tragitto scorre tra chiacchiere e qualche risata ironica sull’accaduto e su altri argomenti sicuramente futili, ma che servono sia a stemperare la tensione accumulata (e anche un po’ di stanchezza), sia a rendere gradevoli i pochi chilometri che ci separano dalla meta.

Rientro a casa stupito di essere stupito, perchè mi rendo conto che l’ovvio è diventato ormai rarità, che la normale tendenza all’aiuto reciproco sta lasciando il posto alla diffidenza, alla paura e a quell’egoismo che troppo spesso viene definito sano, senza considerare che lo è nella misura in cui viene bilanciato da un tendere verso l’altro.

Questa ragazza, di cui non ricordo il nome, non ha avuto il minimo dubbio, nessuna incertezza…per lei era del tutto normale offrire quel passaggio che invece non era assolutamente un atto scontato, soprattutto nel mondo dei “grandi”.

Ma si sa, i giovani spesso costituiscono il meglio della società, proprio perchè non hanno ancora avuto il tempo di farsi corrompere da essa.

Incasso la lezione di vita e la faccio mia, giusto per ricordarmi come dovrebbero funzionare le cose in un mondo normale.

Quindi il grazie va a lei, non tanto per il passaggio tanto gradito quanto inaspettato, ma per per aver dimostrato, ancora una volta, che basta davvero poco per essere semplicemente quello per cui siamo stati progettati: esseri umani. 

Fare l'amore o fare sesso

Detesto le citazioni, ma per Giorgio Gaber posso fare un'eccezione.

Durante un suo monologo, intitolato "L'amore" recitava questa frase: "ci vuole troppa comprensione per trasformare in dolcezza una cosa venuta male".

Ed ecco il punto della questione: tifo da sempre per la libertà dell'individuo, per l'autodeterminazione della propria vita e delle scelte che ne segnano il percorso, purchè vi sia sempre come base il rispetto dell'altro e, soprattutto, di se stessi.

C'è tanta gente che vive una sessualità molto aperta, talvolta per scelta, talvolta per necessità di sentirsi ancora oggetto del desiderio di qualcuno, ma credo fortemente che, qualsiasi siano contesto e presupposti, sia necessario che tra due "amanti" vi sia una vera attrazione emotiva (non parlo di amore) in modo tale che l'incontro sia dettato da un desiderio reciproco e non solo uno sfogo fisico per il quale andrebbe bene chiunque o quasi.

Se finisci su un letto, su un tavolo, o contro un muro con una persona, quella persona devi desiderarla davvero in quel momento, altrimenti è solo ginnastica e per quella esistono le palestre...

Trova le differenze

Se c'è una cosa che va riconosciuta al popolo polacco, è la grandissima serietà nell'affrontare i propri doveri.
Se devono fare un lavoro, o lo fanno al meglio o non lo fanno.

Poche sere fa, finito di esultare per la vittoria dell'italia maschile di pallavolo agli europei, mi sono accomodato sul divano per assistere alla premiazione; l'inaspettato si è materializzato con l'ingresso della squadra polacca, padrona di casa e terza qualificata.

Assistere alla gioia di quegli atleti, che festeggiavano davanti al pubblico di casa la loro medaglia di bronzo come se avessero vinto il torneo, mi ha dato forse più emozione che assistere alla premiazione dei nostri atleti, campioni d'europa.

Dietro quella esultanza c'era tutta l'essenza dello sport e forse della vita stessa.

L'essere fiero del risultato raggiunto, anche se non è quello sperato, sapendo che era il massimo che si poteva ottenere, è una lezione che in molti, e in molti ambiti, dovrebbero imparare.

La vita è fatta anche di (relative) sconfitte, che però possono diventare vittorie se viste dal giusto punto di vista, con la giusta umiltà, con la voglia di dire "ci ho provato, ho dato tutto e questi sono i frutti che il mio impegno mi fa godere".

Il parallelismo con il comportamento degli atleti inglesi alla premiazione degli europei di calcio, viene spontaneo...e le differenze di approccio e di dignità sono evidenti.

In un mondo dove sempre di più pare contare solo il vincere, certe cose fanno bene all'animo, fanno bene allo sport, ridanno il giusto senso a cose che quel senso lo stanno perdendo del tutto.

Dio bendica i "perdenti" perchè senza di loro non esisterebbero i vincenti.

mercoledì 10 novembre 2021

Bisogna fare attenzione

Bisogna fare molta attenzione quando si parla, quando si scrive, quando si esprime un concetto. Occorre farlo sempre, ma più che mai vi è la necessità di dosare bene le parole oggi, in un momento storico carico di tensioni che provengono da molti fronti i quali, seppur di matrice diversa e legati a situazioni diverse, convergono tutti verso il nostro spirito di critica e di protesta, a volte civile, a volte un po’ meno.

 

Bisogna fare molta attenzione perchè l’indignazione è un sentimento che, per quanto condivisibile e condiviso, viaggia su linee di confine con altri sentimenti meno nobili, come l’intolleranza e l’odio che da sempre traggono alimento dalla rabbia, dalla delusione e dall’ignoranza.

 

Bisogna fare molta attenzione perchè non si deve commettere l’errore di condannare intere categorie in virtù di fatti ed episodi dei quali non sono responsabili, o perlomeno non del tutto.

 

Bisogna fare attenzione perchè quando diciamo che tutti i poliziotti sono “fascisti”, brutali, violenti, dimentichiamo quelli che hanno dato la vita e quelli che fanno il loro lavoro con onestà e coerenza con la divisa che indossano.

 

Bisogna fare attenzione perchè quando diciamo che gli ebrei sono nazisti assassini, dimentichiamo che la maggior parte di loro nulla ha a che fare con le scellerate azioni del proprio governo.

 

Bisogna fare attenzione perchè quando diciamo che tutti gli arabi sono terroristi, dimentichiamo che la maggior parte di loro vive la propria vita in pace e spesso è vittima quanto noi della follia integralista che anche noi cristiani abbiamo praticato, seppur qualche secolo fa.

 

Bisogna fare attenzione perchè quando diciamo che tutti i manifestanti sono dei violenti e provocatori dimentichiamo che la maggior parte di loro sceglie la protesta civile, perchè civile è il loro modo di vivere.

 

Bisogna fare attenzione perchè quando diciamo che i preti sono pedofili, ci dimentichiamo di tutti quelli che, con coraggio e passione, portano avanti progetti di solidarietà tanto coraggiosi da rischiarci la vita o quasi.

 

Bisogna fare attenzione perchè anche noi ci incazziamo quando dicono che gli italiani sono tutti pizza, mandolino e mafia.

 

Bisogna fare attenzione perchè la storia ci ha già insegnato quali sono le conseguenze dell’odio generalizzato e dell’odio in generale.

 

Bisogna fare attenzione perchè dobbiamo avere ben chiaro di cosa stiamo parlando quando esprimiamo le nostre idee.

 

Bisogna fare attenzione al tipo di risposta che vogliamo dare a ciò che ci indigna, perchè in quella risposta risiede la discriminante tra essere migliori o essere come loro…

L'importanza di due vocali

Gli esseri umani (a volte disumani) hanno una gran capacità di stupirmi; a volte per l’altezza delle vette che riescono a raggiungere, più spesso, ahimè, per la bassezza morale che lasciano trasparire senza nemmeno troppa vergogna.

Capita così che che ti soffermi quasi incantato ad ascoltare o a leggere le parole di gente come Gino Strada che porta avanti progetti tanto ambiziosi quanto drammaticamente seri e pericolosi e magari prendi spunto per tentare di essere un po’ migliore.

Capita altre volte, al contrario, di restare senza parole di fronte alla pochezza e alla bassezza di alcuni personaggi che si permettono di esternare concetti tanto volgari da poter essere considerati pura pornografia intellettuale (con mille scuse per chi fa la pornostar di professione).

Un caso tipico sono le recenti affermazioni dell’onorevole (???) Borgezio riguardo la nomina del ministro di colore (ma ancora con questi concetti siamo alle prese?) Cécile Kyenge, affermazioni che gli sono costate l’espulsione dal gruppo parlamentare di euroscettici Efd (ma non dalla lega!!!). Che dire, una vera chicca che si va ad aggiungere alle tante altre dette a fatte in precedenza.

Ma oggi mi sono soffermato particolarmente sugli eventi legati al processo di appello per il caso Eternit: sarà che il processo si svolgeva nella mia città (ormai tristemente nota anche per i fatti della ThyssenKrupp), ma vedere una condanna a 18 anni per disastro ambientale doloso (sottolineo disastro e sottolineo doloso), non nascondo che mi abbia dato un senso di giustizia che raramente riesco a provare.

Ma come tutte le cose belle, la gioia è durata poco: a rovinarla quel genio dell’avvocato difensore che, sicuramente a causa dello sconforto dovuto alla bruciante sconfitta, ha fatto una di quelle affermazioni che, prese da sole non vogliono dire molto, ma inserite in un contesto come quello del processo Eternit, pesano come un elefante sovrappeso e anche zavorrato, tanto per gradire.

Il fenomeno in questione, tale Astolfo Di Amato, a seguito della sentenza di colpevolezza (18 anni contro i 16 del primo grado), non ha avuto niene di meglio da dire che: “Ora nessuno investirà più in Italia”.

I miei già provati attributi sono crollati all’istante creandomi anche alcuni momenti di imbarazzo nell’atto di cercarli e raccoglierli da terra, ormai privi della benchè minima capacità di sopportare oltre.

Ma come, caro avvocato (e le assicuro che è un atto di cortesia chiamarla tale e comunque la minuscola è voluta), il suo cliente è stato ritenuto colpevole di una delle stragi bianche più clamorose degli ultimi decenni che potrebbe anche tramutarsi in una imputazione per omicidio volontario nel procedimento Eternit bis e lei dice che questo sarà causa di mancati investimenti in Italia?

Si rende conto caro avvocato (proseguo nella cortesia e nelle minuscole) che lei sta affermando che un’azienda, per investire nel nostro paese, dovrebbe vedersi garantire la possibiltà di eludere tutte le regole di tutela della salute e della sicurezza dei propri lavoratori e della popolazione?

Davvero lei auspica questo tipo di paese per sè e per i propri figli?

Davvero lei crede che un qualsiasi essere umano dotato di almeno due neuroni, avvallerebbe questa sua affermazione?

Quindi aziende come la l’Oreal, che sta per realizzare proprio alle porte di Torino il primo stabilimento in Europa ad emissioni zero di CO2, sono gestite, secondo la sua visione del mondo, da pazzi visionari, incapaci, sognatori, illusi e anche un po’ pirla?

Caro avvocato (e daje), mi creda, questo paese non ha certo bisogno di altri imprenditori trafficoni, pronti a vendere la propria madre o la pelle della gente in nome del profitto, già ne abbiamo tanti.

Citando la frase di un vecchio film (ma nemmeno tanto vecchio): “questo paese ha problemi seri e ha bisogno di gente seria per risolverli”

Mi creda signor Astolfo, capisco la sua frustrazione di uomo (va beh) e di legale (va beh 2 la vendetta), ma per cortesia, glielo chiedo per favore, pensi a quello che ha detto e tenti, in perfetto italian style, una smentita riparatrice; almeno provi a dire che è stato frainteso e recuperi quel minimo sindacale di dignità che le consentirebbe di non doversi sputare in faccia ogni volta che si specchia (mi raccomando, prenda bene la mira).

Questo paese, ogni paese se mi permette di estendere il concetto, ha bisogno di RICETTE industriali non di RICATTI industriali…sono solo due vocali di differenza, ma creda, sono una discriminante fondamentale.

Effetti collaterali

Molto spesso si sente parlare di effetti collaterali: li sentiamo citare per farmaci, operazioni chirurgiche in ospedale o in campi di battaglia.

Effetti collaterali, possibili eventi indipendenti dal nostro controllo sia nella loro manifestazione, sia sui reali effetti che possono produrre.

Ciò che spesso ci sfugge è che gli effetti collaterali, o se mi consentite, le possibili conseguenze, sono un fatto inevitabile nel preciso istante in cui compiamo un’azione, una qualsiasi.

Il problema è che compiamo migliaia di azioni ogni giorno e quasi mai ne valutiamo le possibili conseguenze.

Capita così che, estenuati dalla ricerca di un parcheggio, o forse troppo pigri per cercarne uno, sistemiamo la nostra amata vettura in doppia o terza fila.

Capita così che un’ambulanza non riesca a passare.

Capita così che un uomo muoia di infarto senza sapere se quell’ambulanza avrebbe potuto salvarlo.

Capita così che quel semaforo rosso in una serata con poco traffico lo possiamo pure “bruciare”.

Capita così che magari un ragazzino ci vede e pensa che tutto sommato è figo.

Capita così che magari, quel ragazzino appena patentato passa col rosso e ci stermina la famiglia sulle strisce.

Capita così che i malavitosi del nostro quartiere è meglio lasciarli tranquilli per non avere problemi.

Capita così che una sera si sparano per strada.

Capita così che un proiettile vagante ci ammazza pochi minuti prima di andare a cena, la vigilia di Natale.

Capita così che ci provi a comportarti bene, a seminare qualcosa di buono.

Capita così che qualche probabile futuro delinquente veda la differenza.

Capita così che quel ragazzo diventi un adulto che si fermerà col rosso mentre la tua famiglia attraversa la strada sulle strisce, che sparerà sì, ma solo immani cazzate per farsi e far fare due risate agli amici, che parcheggerà la macchina dove trova posto, anche a 500 metri da casa e quell’ambulanza riuscirà a passare, magari salvando la vita a tuo padre.

Non possiamo prevedere le conseguenze delle nostre azioni, ma possiamo decidere quali azioni compiere: è un rischio in ogni caso, tanto vale correre quello che dà minori probabilità di danni, se non altro per sano egoismo.

 

Perchè l'ISIS non attaccherà mai l'Italia

Se l’ISIS volesse attaccare l’Italia, andrebbe così.

ore 01:00 – il gruppone ISIS tenta di partire dalla Libia con l’aiuto di scafisti scafati, ma i soldi non bastano, quindi organizzano una colletta e quelli che restano senza soldi vengono fatti esplodere sul posto come buon auspicio per la missione

ore 2:30 – drammatica virata per orientare lo scafo verso la Mecca per la preghiera dei fedeli: il mare mosso rende difficili le operazioni e i componenti del commando si ritrovano e pregare in sequenza:
• la mecca
• due templi buddisti in cina
• san pietro
• la statua della libertà
• 1 Mc Donald a madrid
I pochi che se ne rendono conto, si fanno esplodere sul posto, come buon auspicio per la missione

Ore 6:45 – sbarco a Lampedusa dove il commando viene ricevuto da uno stuolo di volontari che, con amore, li accoglie con coperte, cibo e acqua: segue trasferimento nel centro di accoglienza locale in cui, come benvenuto, vengono picchiati e sodomizzati dai residenti….i più deboli, non sopportando il disonore, si fanno esplodere sul posto, come buon auspicio per la missione

Ore 12:30 – approfittando della pausa pranzo delle guardie, il commando evade e parte alla volta di Napoli: giunti sul posto, si infilano nei quartieri spagnoli dove vengono costretti a barattare le armi con lettori CD, autoradio e iPAD, rigorosamente non funzionanti. I più temerari, pur di non cedere il proprio armamento, si fanno esplodere sul posto, come buon auspicio per la missione.

Ore 17:00 – il commando è alle porte di Roma dove viene bloccato da:
• traffico sul raccordo anulare
• manifestazione animalisti per la salvaguardia del cercopiteco afro-cubano chiazzato a strisce
• sciopero generale dei sindacati uniti (esclusa CGiL che si dissocia e fa corteo a parte scioperando contro lo sciopero)
• orda di turisti giapponesi che chiedono foto ricordo coi terroristi
• centurioni incazzati perché credono che quelli dell’ISIS gli vogliano rubare il mestiere
• 15 Vu Cumprà che li seguono con centinaia di occhiali da sole, collanine e borse al seguito.
A questo punto, Berlusconi decide di scendere in campo, si avvicina e dice loro: “anche io sono stato un terrorista dell’ISIS, amici”
I pochi che comprendono l’italiano, a queste parole, si fanno esplodere sul posto, come buon auspicio per la missione.

Ore 20:30 – Il commando arriva a Firenze e punta verso Nord, ma in piazza Santa Maria Novella è costretto a sorbirsi Benigni che spiega la divina commedia, l’inno d’italia e i 10 comandamenti; al 194° “è bellissimo, è stupendo” alcune cinture di dinamite si fanno esplodere autonomamente sul posto, come buon auspicio per la missione.

Ore 23:30 – ingresso, di ciò che rimane del commando, a Milano: obiettivo le strutture di EXPO 2015. Giunti nella zona prevista per il grande botto, i terroristi si rendono conto che delle strutture, non ce n’è una finita e vengono presi dallo sconforto.
Ad alleviare il loro dolore compare Salvini che, guardandoli, esclama: noi non abbiamo nulla contro queste persone, ma bisogna farle esplodere a casa loro.
Increduli, i terroristi lo guardano come si guarda un povero mentecatto e proseguono verso il nuovo obiettivo; prima però lo fanno esplodere sul posto, come buon auspicio per la missione

Ore 00:30 il commando entra a Torino pronto a far esplodere il parlamento italiano: l’unico del gruppo che ha studiato, fa presente che sono 150 anni che Torino non è capitale: il capo afferma che è il concetto che conta e costringe tutti a farsi esplodere, come buon auspicio per la missione.

Ore 6:00 – l’ultimo superstite raggiunge la cima del Monte Bianco, tetto d’europa e recita una preghiera di ringraziamento per il grande successo della spedizione.
A questo punto il gran consiglio degli Dei, capitanato dai due fuoriclasse Allah e Dio (detto Geova da alcuni affezionati del vecchio stile), gli compare di fronte dichiarando: “noi vi abbiamo creato a nostra immagine e somiglianza, vi abbiamo dato regole severe, ma giuste e vi abbiamo messi a vivere nel punto più bello di tutto l’universo perché poteste godere di un piccolo anticipo di quello che vi è stato riservato nel paradiso….e voi che fate? Vi ammazzate l’un l’altro pensando che sia il nostro volere. Una semplice domanda: quale padre metterebbe al mondo i suoi figli per farli massacrare tra di loro? Nessuno, ecco la risposta, nessuno….quindi, in estrema sintesi, non avete capito un cazzo, banda di coglioni”

A questo punto il capo commando osserva l’immenso intorno a sé, capisce quanto è piccola e fragile questa piccola palla che chiamiamo casa, si sgancia la cintura di dinamite, scende dal Monte Bianco e va a dare ed a ricevere un segno di pace da tutti coloro che incontra: Cristiani, Ebrei, Musulmani, Buddisti, Induisti, Atei…..persino Juventini!
Dal tetto d’Europa, la cintura di dinamite esplode sul posto e, come su un braciere olimpico, regala alla vista di tutti il fuoco della fratellanza tra i popoli……e vaffanculo alla missione.

 

Alle nuove generazioni

 Alle nuove generazioni:
– rendete reale il mutuo riconoscimento, lì risiede la pace
– pensate a lungo termine, perchè ciò che fate oggi si ripercuoterà sui vostri figli
– provate a realizzare i vostri sogni, ma non siatene schiavi
– rispettate gli anziani, sono la parte vivente della vostra storia
– mangiate sano
– imparate a essere indipendenti, ma con il buon senso
– amate tanto, senza aspettarvi nulla in cambio
– condividete il vostro talento o sarà inutile che lo abbiate
– ascoltate tanta musica, ma soprattutto rock
– fate sport
– imparate a suonare uno strumento, o a dipingere o qualsiasi altra forma d’arte, perchè è attraverso l’arte che potrete esprimere chi siete
– siate critici, ma non qualunquisti
– contestate le regole, ma rispettatele: la lotta consiste nel farle cambiare, non nel distruggerle
– non svendetevi mai, siate fedeli a voi stessi
– siate liberi nei pensieri
– rispettate la libertà degli altri
– parlate molto, ma ascoltate di più
– siate vivi sempre come lo siete oggi
– giocate molto
– ridete molto
– pensate molto
– infine, vi prego, non rompete i coglioni alla sera, nelle panchine sotto casa, grazie.

Cronaca semi seria di un pellegrinaggio

Tra il 29 settembre e il 4 ottobre 2014, sono stato in pellegrinaggio a Medjugorie: questa la fredda cronaca dei fatti:

29 settembre:

Ore 4:50 in attesa del pullman per medjugorie. Età media 137 anni. Si fa interessante.

Ore 5:17 a Poirino sale gente con meno di 70 anni: forse stanno iniziando le prime visioni?

Ore 12:00 la fame aiuta nelle visioni: compaiono in sequenza spaghetti aglio e olio, filetto al pepe verde con patatine e macedonia. Caffè e grappino solo per i casi più gravi

Ore 13:30 autogrill per il pranzo. Cristianissima rissa per accaparrarsi gli ultimi Capri e Apollo: tre feriti e due dispersi il bilancio finale. In pullman si starà più larghi

Ore 17:15 autogrill in croazia. Mega partitone a football americano per aggiudicarsi un posto in fila per il bagno. Più agguerrite le signore che a suon di borsettate nel basso ventre si fanno largo tra la difesa. Nota positiva, ottimo il caffè anche se il prezzo ha suscitato alcuni commenti poco mariani: 2 espulsi e uno squalificato. Sul pullman si starà ancora più larghi.

Ore 20:00 arrivo in hotel a gospic. Cazzo, si sono ciulati il bidet. A proposito, match di rugby per prendere le valige: la gara a eliminazione prosegue, ma noi siamo ancora qui……hunger games, ci fate una pippa!!!

Ore 22:15 finita cena…momenti di panico di alcuni commensali che si sono visti passare davanti la pasta al ragù senza che venisse loro data: i camerieri hanno rischiato il linciaggio, salvati dal tempestivo intervento della polizia locale. Conosciuto tal remigio che è convinto che la fuga dall’Egitto del popolo ebreo sia successiva alla morte di Cristo: il parroco ha avuto un malore e lo ha rimandato a settembre di religione, con voto “N.C.” Probabilmente qualcuno è convinto che domani vedremo apparire Madonna, la pop star. L’avventura continua…….

30 settembre:
Giorno 2, ore 7:00 colazione. A quanto pare i pellegrini non facevano la colazione da mesi, visto l’accanimento con cui si sono avventati sul buffet. Il personale dell’albergo, a scopo cautelativo, ha organizzato una linea di difesa per le cucine: alcuni tra i più intrepidi pellegrini ha addosso i segni del filo spinato durante la battaglia. Partenza per medjugorie prevista per le 7:30, esclusi i 5 feriti e i 2 ricoverati per ferite medio-gravi….

Ore 15:25 siamo a medjugorie da un po’. Fatto pranzo (solita rissa per i posti a sedere) e attendiamo di recarci presso i luoghi di meditazione. Durante la visita a una chiesa qui vicino, interessanti scene di pellegrini in posa, abbracciati a statue di maria o di gesù, in attesa di foto ricordo con tanto di espressione mistica del tipo “ho una visione”. A stento trattengo la voglia di fargli avere una visione del mio gancio destro sull’arcata dentale superiore.

Ore 22:40, appena rientrati dall’adorazione dell’eucarestia dove canti e brani venivano eseguiti in svariate lingue: ti adoro in tutte le lingue del mondo. Buona notte.

1° ottobre
Ore 12:30. Pranzo dopo scalata al monte della via crucis e messa finalmente in italiano. Alcuni segni di cedimento fisico da parte di alcuni pellegrini, ma per ora nessun segno di possibili passaggi alla vita eterna. Con la scalata pomeridiana potrebbe accadere di tutto, si aprono le scommesse. Buon appetito.

Ore 20:15 a cena dopo due scalate con tanto di cani guida e bastoni antivipera. La mia vicina di tavolo si è autoproclamata mia nonna e tenta di farmi mangiare tonnellate di cibo. Considerando che ha più barba di me, non oso contraddirla, se non altro per puro spirito di sopravvivenza. Il resto della truppa se la cava anche se arrivano alcuni segni di cedimento psico-fisico. Domani il clou con l’apparizione di Maria: chiederó di cambiare vicina di posto a tavola, speriamo bene. Buona serata.

Ora vado a fare due passi per comprare elmetto e giubbotto antiproiettile: pare che domani, in occasione dell’apparizione di Maria, ci sarà lo scontro finale con pellegrini da tutto il mondo. Chi sopravvive potrà considerarsi miracolato…..per ora. Buona notte.

2 ottobre
Giovedì 2 ottobre, giorno dell’apparizione. Sveglia alle 5:30 con tentativo di smadonnamento subito trattenuto visto il tema della giornata. Colazione alle 6 e poi a piedi verso il luogo dell’evento. Giunti sul posto troviamo una folla che al confronto l’unica data italiana degli U2 è una festa dell’oratorio. Spazio vitale procapite circa 30 cm quadrati. Iniziano le prime liti per accaparrarsi un posto in prima fila anche con utilizzo di un linguaggio molto pio (che il signore ti fulmini un esempio eclatante). Una vecchietta, particolarmente assatanata, ha iniziato a inveire contro una giovane ragazza accusandola di occupare troppo spazio: capito che la malcapitata non era italiana, se ne esce con l’affermazione “you have problems”. La ragazza si guarda intorno smarrita e quando incrocia i miei occhi sembra dirmi “gliela dai tu una testata, che io mi vergogno?”. Pochi minuti dopo, molto coerentemente, la folla si apre come le acque del mar rosso, per permettere all’attore pippo franco di passare……potere della TV.
Arriva il momento dell’apparizione e un silenzio irreale avvolge tutta l’area: viene poi letto il messaggio che Maria ha lasciato per i fedeli e, in pochi istanti, riprendono le ostilità tra i pellegrini. Praticamente l’apparizione è stato l’intervallo tra il primo e il secondo tempo di questa lotta fratricida che ha esaltato la natura umana in tutto il suo splendore: in estrema sintesi “meritiamo l’estinzione”

A pranzo riesco ad evitare la mia nuova nonna, che peró ha fatto adepti e mi vedo costretto a mangiare 5 peperoni ripieni preceduti da due piatti di pasta formato obelix. Seguono svariate discussioni su cosa si è visto, con tanto di reportage fotografici dove si afferma di aver visto in sequenza: 2 soli, il volto di Maria, il cielo multicolore, 3 ufo, 5 asini volanti, la faccia di berlusconi che saluta la folla abbracciato a gesù, borghezio che fa il ditone a tutti mentre si scaccola col tricolore. La dialettica tra fermanente convinti e scettici si accende sempre più fino al tragico epilogo dove, a colpi di dessert tirato in faccia, la sala da pranzo si trasforma in un campo di battaglia con trincee improvvisate. Molti i caduti sul campo, soffocati da numerosi colpi di trancio alla banana. Ora cinsi riposa per affrontare l’ultimo pomeriggio dove gli ultimi sopravvissuti tenteranno di raggiungere incolumi la nottata per poter ripartire verso casa, ammesso che ci si arrivi. Buon pomeriggio.

Nel pomeriggio viene organizzata la visita ad un orfanotrofio ed a una comunità di recupero per ragazzi. In entrambi i casi si portano diverse valigie di roba da donare: ovviamente mi viene chiesto di portare quella carica di piombo che trascino con sforzo disumano fino a destinazione chiedendomi quale cacchio di indumenti possa avere un peso così. Interessanti e toccanti le testimonianze in entrambe le strutture, come altrettanto interessante è stato constatare come si sia riusciti ad uscire vivi dai piccoli negozietti messi a disposizione dei fedeli, dove l’assalto all’arma bianca è proseguito per svariati minuti tra rosari, immaginette, scatoline, baccialetti, cd, dvd, aranciata coca birra panini gelati cicles, gratta e vinci.

La sera, a cena, ulteriore testimonianza della proprietaria dell’hotel, una ragazza italiana con un passato discutibile e rinsavita a Medjugorie……i casi sono due, o la conversione ha funzionato, o la droga assunta era davvero tanta.
Durante la cena, la grazia di Maria è giunta e nè la neo nonna, nè il suo fans club si sono seduti accanto a me e finalmente sono riuscito a consumare un pasto normale, anche se in continua apprensione per svariate occhiate che mi arrivavano da nonnina, piazzata strategicamente due tavoli più in là, con piena visuale sul mio piatto.
Passeggiata serale con qualcuno che propone di andare in chiesa ad assistere ancora a un rosario, iniziativa questa prontamente bloccata: il povero malcapitato credo sia ancora legato al water, imbavagliato con la carta igienica…verrà recuperato il prossimo anno.
Al rientro si fanno le valige confermando che la roba, per qualche motivo, quando la togli si moltiplica e non ci sta più…..la moltiplicazione di mutande e calzini.
Nottata tranquilla in preparazione del primo tratto del viaggio di ritorno.

3 ottobre
Venerdì 3 ottobre, si parte alla volta di Zara, perla della Dalmazia. All’arrivo, una simpatica vecchietta dice alla vicina: qui siamo in dalmazia, non in croazia. Il parroco, ex insegnante di geografia, ha di nuovo un malore e la rimanda a settembre con voto “Mio Dio!”. Lauto pasto in ristorante dove, ovviamente, gli unici che rimangono senza posto siamo io e mia moglie. Nonna però non accetta che io resti digiuno e in 3 secondi si procura 2 tavoli, sei sedie, piatti, posate, bicchieri, acqua, vino, birra, mi guarda e dice: “mancia, mancia, che ttti fa bbbene” … i camerieri, terrorizzati, anzichè portarci le portate nei piatti, ce le mettevano dentro insalatiere e guai a non finire tutto.
Terminato il pasto, con una guida locale si passa alla visita del centro storico della città: “questo è il duomo, ma è chiuso” – “questa è una chiesa molto interessante, ma è chiusa” – “qui potete rilassarvi un po’ e prendere un caffè, ma non accettano euro”…..insomma, una gran bella organizzazione.
Alla fine però, ci si va a godere il tramonto in riva la mare, con tanto di musica ricavata dal movimento delle onde, davvero spettacolare.
Chiediamo di farci fare una foto e il gentile compagno di pellegrinaggio dice: “con flash o senza?” decide per il senza, visto che dietro di noi il tramonto è davvero uno spettacolo: risultato, si vede un tramonto da paura e noi due siamo due macchie nere in pieno controluce….no ma grazie neh.
Si risale sul pullman verso le 18:30 alla volta di Gospic, per cena e pernottamento.
Arrivati ci si sistema nelle camere e si va a cena dove le discussioni sono inevitabilmente molto mistiche…..al termine, per dare un tocco di vita reale, decido di rovesciare la sedia che, provvidenza, finisce in pieno sul carrello dove la cameriera aveva appena raccolto bicchieri e bottiglie…..il pagamento dei danni lo rateizzo in 5 anni a interessi zero.
Si va a nanna, pronti ad affrontare le 14 ore di viaggio che ancora ci aspettano il giorno dopo, prendendo tristemente atto che ormai il culo ha la forma del sedile…buona notte

4 ottobre
Sabato 4 ottobre: sveglia, colazione dove, per sfinimento, tutti alzano bandiera bianca e si arriva ad un trattato di pace sancito da pane burro e marmellata, cereali e caffellatte.
Si parte alle 8:00 per l’ultimo sforzo verso casa: ogni fermata ad un autogrill viene accolta da una ola e standing ovation dovute più alle vesciche piene che a reale convinzione.
Si giunge a Obrov, ridente località della Slovenia, dove ci si ferma per pranzo in un ristorante immerso nei boschi. Nonna ha provveduto affinchè avessimo un posto a sedere e 5 camerieri dedicati a riempire piatti e bicchieri appena fossero vuoti.
Durante una pausa, esco per prendere una boccata d’aria e noto alcune persone davanti a una piccola struttura, in adorazione: penso vi sia una immagine della Madonna e vado a vedere. In realtà trattavasi di sana porchetta in fase di cottura all’interno di un gigantesco barbecue: madonna o no, la porchetta è sempre la porchetta.
Al termine del pranzo i fumatori si accaniscono sui propri pacchetti di sigarette, consci che per ore la dose di nicotina non potrà essere assunta.
Durante il viaggio si scatena, ad un certo punto, la diatriba sul dove ci si trova: “siamo in Italia” – “siamo ancora in slovenia” – “siamo a verona” – “siamo a venezia” – io ho letto il cartello piacenza” ….. il parroco, ex compilatore di mappe per navigatori, ha un ictus e un infarto, dopodichè afferma: “basta, ci rinuncio, fate come cazzo vi pare”.
Ultima fermata in autogrill per la cena, dove ormai ci si muove come automi nella più totale inconsapevolezza di luogo e data e forse anche di se stessi.

Il casello di Villanova d’Asti viene salutato come un’apparizione divina e ad ogni fermata per scaricare pellegrini ci si saluta con calore: “sì sì. ciao, sbrigati a scendere che qua si fa notte”.
Finalmente arriva la nostra fermata: si scende con passo incerto e circolazione alle gambe praticamente azzerata, si recuperano le valige e si arriva finalmente a casa dalla quale si ha la sensazione di mancare da un mese.
Seguono saluti, baci, abbracci finchè la voglia di diventare un tutt’uno col materasso ha il sopravvento e ci si riappropria del proprio letto.

Qualcosa comunque resta dentro, qualcosa che, in questo tragicomico pellegrinare, ha comunque raggiunto la parte più intima di noi. C’è chi la chiama fede, chi la chiama pace, chi la chiama serenità…..ognuno la chiami come vuole, fatto sta che è lì e credo ci resterà a lungo finchè non decideremo cosa farne e come concretizzarla nella nostra vita. Una cosa è certa, ripensando a questa settimana, si è ritornati un po’ più ricchi e non credo che sia una cosa che si possa dire di ogni viaggio che facciamo……..Grazie a tutti per l’attenzione e per aver condiviso con noi questo piccolo racconto a puntate, a volte dissacrante, a volte ridicolo, ma non credo che lassù se la prenderanno: suppongo che abbiano un grande senso dell’umorismo e una gran pazienza, altrimenti non si spiegherebbe perchè non ci si sia ancora estinti. Un saluto a tutti.

martedì 9 novembre 2021

La storia che vive

Contesto: puntata di Italan’s got talent (vabbè, ogni tanto mi lascio corrompere dalla tv)

Concorrente un signore di 87 anni: entra con passo ovviamente non proprio atletico, con il vestito grigio, i capelli bianchi e un sorriso di quelli che solo le persone vere e semplici sanno fare.

Ci si aspetta la solita cantata nostalgica o qualcosa del genere.

Inquadrano il figlio dietro le quinte: un marcantonio di almeno 185 cm, grosso,barba lunga tipo biker cazzuto…insomma uno che se lo incontri per strada, gli dai il portafoglio sulla fiducia.

Il simpatico anziano si presenta, timidamente, come rumorista, confermando almeno in parte le sensazioni iniziali.

Porta il microfono alla bocca, la platea si ammutolisce e lui inizia a fare il rumore del treno a vapore: ciuff ciuff, ciuff ciuff.

Istintivamente chiudo gli occhi e se non sapessi che è un uomo a fare questo rumore, giurerei che in sala sta passando il regionale per Fossano.

Riapro gli occhi giusto per assistere alla standing ovation del pubblico e al sorriso compiaciuto, ma non presuntuoso, del concorrente geriatrico…..a seguire, su richiesta dei giudici, arrivano anche il treno alta velocità, il temporale che solo a sentirlo veniva voglia di prendere l’ombrello e il bombardamento durante il quale mi aspettavo di sentire le sirene di allarme per avvisare la popolazione ad andare nei rifugi: un delirio di applausi.

Il concorrente dice poi di aver fatto il rumorista di mestiere, soppiantato poi dalle moderne tecnologie, sorride, saluta, ringrazia tutti, incassa il passaggio del turno di gara (non credo fosse il suo primo obiettivo) e se ne va.

Dietro le quinte, l’uomo brutale e aspirante serial killer, osserva il genitore con occhi lucidi e commossi e poi lo abbraccia, un abbraccio che profuma di amore e gratitudine.

Un episodio banale, inserito in un talent show che non brilla certo nel firmamento della miglior tv, ma un episodio che offre anche spunti di riflessione e un pizzico di malinconia.

In quella esibizione, in quei rumori (anche se suoni mi sembrerebbe più appropriato), c’era una vita intera, una vita buona a giudicare da come gli occhi del figlio lo guardavano.

Noi siamo sempre attenti e a volte ipocritamente commossi nelle numerose giornate della memoria….ricordiamo la storia, le tragedie, almeno per 24 ore e poi si ricomincia a vivere come sempre.

Raramente ci accorgiamo che la storia, almeno quella più recente e che quindi ci tocca più da vicino, è ancora viva e risiede proprio nei nostri anziani.

Dovremmo avere la pazienza, la voglia ed il rispetto per fermarci ogni tanto ed ascoltarli; loro sono il recente passato che ci ha portati qui, hanno storie da raccontare, ma pochi disposti ad ascoltarle.

La loro vita è la loro eredità per noi, il loro dono alle generazioni che li seguono, ma rischia di essere un dono che non verrà mai dato.

L’essere ascoltato, per un anziano, è uno dei modi per sentirsi ancora parte viva e attiva nella società.

Ascoltare, per un giovane, è uno dei modi per imparare a vivere ed essere attivo nella società.

E’ uno scambio di opportunità, è una condivisione di pensieri, è un mescolare epoche e vite che solo apparentemente sono distanti, ma che in realtà sono strettamente in relazione tra loro.

Abbiamo una ricchezza umana immensa proprio alla porta accanto alla nostra, ma come si fa a trarne qualcosa di buono se continuiamo a non guardare oltre il nostro naso?

Grazie sig. Enrico, Ciuff Ciuff anche Lei. 

Dio benedica la pallacanestro

Finalmente. dopo la pausa estiva, siamo ritornati a solcare il parquet della palestra, desiderosi di affrontare la nuova stagione cestistica con entusiasmo e grinta:

questa la fredda cronaca della prima serata:

Ore 21:00 si entra il palestra e per i primi 20 minuti si cazzeggia raccontandosi ferie, viaggi, aneddoti vari oltre i soliti discorsi tra uomini di cui tralascerei i dettagli per senso del pudore.

Ore 21:25 tutti in campo per il riscaldamento: dopo i primi due giri di campo qualcuno inizia a osservare il defibrillatore con preoccupante interesse

Ore 21:27 fine del riscaldamento e formazione delle squadre per la partitella: dopo varie opzioni, mercato acquisti, valutazioni sulla garanzia degli equilibri tecnici, si giunge alla conclusione che si fa maglie chiare contro maglie scure, con inevitabili discussioni su come debba essere considerato quello o quell'altro colore.

Ore 21:40 prima pausa del match: risultato 2 a 0 per le maglie chiare a seguito di 167 tiri, 98 falli, 3 enfisemi, 1 infarto e 4 attacchi d'asma

Ore 22:15 sul punteggio di 43 a 58 (litri di sudore perso) compare in palestra una figura vestita in tunica nera con in mano una falce e volto oltremodo magro, che osserva tutti con grande interesse: strano modo di fare il talent scout

Ore 22:20 iniziano a serpeggiare i primi dubbi sulla capacità di tenuta altletica dei giocatori prendendo atto che striciare a terra non è una tecnica di gioco ammessa

Ore 22:30 fine delle ostilità per eccessiva differenza numerica tra le persone in campo e quelle svenute poco oltre le linee laterali.

Ore 22:45 nonostante la vista annebbiata, tutti trovano la porta di uscita della palestra: l'appuntamento è tra una settimana, riservato ovviamente ai soli sopravvissuti.

A 50 anni forse sarebbe ora di smetterla con queste cose, ma in cartucciera ci sono ancora alcuni colpi e sprecarli sarebbe un vero peccato...e quei dolori del giorno dopo (ma diciamo anche dell'intera settimana dopo) sono lì a ricordarti che sei ancora capace di passione, di fatica, di condivisione, di amicizia...di vita.

Dio benedica la pallacanestro.