E’ buia questa strada, eppure è mattino inoltrato di una bella giornata
di primavera; la gente passeggia, chiacchiera e contratta sul prezzo
della merce esposta nel mercato. E’ tutto un via vai di volti anche se
molti di loro non posso vederli, so solo che sono donne come me. Questo
velo che ci portiamo addosso ci rende tutte uguali, quasi ad annullarci
come persone, quasi ad ammonirci come indegne di mostrarci per quello
che siamo; a volte può essere un vantaggio, fare una smorfia
indispettita senza essere vista è persino divertente, ma il divertimento
dura poco, sopraffatto dal lamento costante che la nostra anima
continua a recitare nella nostra testa e nel nostro cuore.
Passeggio, osservo, contratto perchè non posso spendere troppo,
rischierei l’ira di chi mi aspetta a casa, di chi, in nome di Dio, mi
racchiude in questo sarcofago di cotone per nascondermi agli occhi del
mondo.
Giungo nella piazza principale del paese; c’è tanta gente, urlano,
imprecano, puntano il dito, hanno pietre in mano. Ancora una
lapidazione, ancora una punizione divina, ancora un omicidio che passerà
inosservato, anzi peggio, che sarà legittimato, benedetto, ritenuto
necessario per mantenere l’ordine, la disciplina, la fede.
Fede, parola strana se mi permettete il pensiero, perchè almeno quello non può essere udito e quindi punito.
Fede sta per fiducia e fiducia sta per contare su qualcuno sapendo che
farà solo il nostro bene; eppure fatico a considerare come un bene il
venire torturati e uccisi. Ma del resto cosa ne so io che nemmeno sono
capace di leggere e scrivere: sposa a 12 anni, madre a 13, a 14, a 15,
vecchia a 25. Cosa ne so io di cosa è bene e cosa non lo è; mi permetto
di avere pensieri miei sapendo di peccare di superbia, perchè non dovrei
averne: c’è chi può e deve pensare per me e indicarmi la via corretta
per la mia vita.
Intanto tutto è pronto per il macabro rito della lapidazione e leggo,
negli occhi dei numerosi intervenuti, l’ansia di scagliare la prima
pietra (che strana espressione, non ricordo dove l’ho sentita).
Osservo ciò che accade per ricordarmi cosa mi potrebbe capitare se non
rispettassi le regole e con un po’ di vergogna, ringrazio di non essere
io lì, al centro della piazza a fare da bersaglio a tutta questa gente.
Vedo occhi rossi di odio, bocche da cui escono parole di disprezzo, mani
e braccia che raccolgono e tirano sassi come se davanti si trovassero
il demonio in persona.
Guardo e per una volta ringrazio di avere questo velo, perchè può
nascondere le mie lacrime, celare la mia bocca serrata quasi a
condividere il dolore di quella donna, proteggermi dal male del mondo
come fanno le coperte del letto con i bambini, quando credono che ci sia
un mostro nascosto dentro il loro armadio.
Guardo l’odio mascherato da giustizia, l’ignoranza travestita da fede,
la follia scambiata per volontà divina…guardo e penso che tutto questo
non può essere vero, penso che nessun Dio vorrebbe questo per il suo
popolo, penso che tutto sia una immensa bugia che da secoli ci viene
imposta per tenerci schiavi di noi stessi…penso anche se non dovrei
farlo, ma lo faccio perchè non ho altro.
Fra tutti, c’è un uomo che non sta partecipando allo spettacolo, non
attivamente perlomeno; anche lui guarda, trema ad ogni colpo mostrando
nel volto e negli occhi una sofferenza molto simile alla mia, solo che
lui non ha nulla che lo possa nascondere; so bene chi è perchè la donna
al centro della piazza è la sua compagna da una vita, una vita che sta
per finire perchè quella donna gli è stata strappata dalle mani e dal
cuore da coloro che si arrogano il diritto di decidere per tutti.
Lui guarda, forse prega e a giudicare dallo sguardo è una preghiera
sincera, di quelle che sanno di pietà, di misericordia, di amore.
Guarda fino alla fine, fino a quando persino la morte diventa una cosa
da augurare a chi si ama, perchè quando si ama qualcuno non si può
sopportarne una tale sofferenza; quando tutto finisce e la sete di
sangue è placata, la gente si allontana mentre le spoglie della vittima
di turno vengono malamente gettate su di un carro senza nemmeno quella
dignità che si riserverebbe anche ad un animale; e poi solo un
assordante silenzio fatto di urla mai gridate, lacrime mai piante,
parole non dette.
Quell’uomo è ancora lì ad osservare mentre la sua sposa parte per il suo
ultimo viaggio; non le ha potuto evitare il martirio, ma non l’ha
colpita, non l’ha fatto, non avrebbe mai potuto farlo. So che per molti
di voi sembrerà poco perchè in realtà avrebbe dovuto difenderla, ma
dovete comprendere che noi non possiamo godere della libertà di andare
contro il sistema, a meno di accettare che questo vorrebbe dire morire:
quella pietra non lanciata, quella sofferenza palesata, quella preghiera
recitata, quello sguardo pieno di amore e pietà sono una rivoluzione
forse più potente di quante ne fate voi nelle piazze.
E’ una rivoluzione perchè è il segnale che un pensiero diverso c’è e
sebbene occorreranno anni o forse secoli perchè abbia la meglio, il suo
sopravvento sarà inevitabile; io lo so, anche non so leggere e scrivere.
Conosco bene quell’uomo e so che è un uomo giusto; però che strano, non
ho mai saputo il suo nome, ma poco importa: per me, da oggi lui si
chiama speranza.
mercoledì 24 novembre 2021
Il mio nome è speranza (piccolo racconto inutile)
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