mercoledì 24 novembre 2021

Il mio nome è speranza (piccolo racconto inutile)

E’ buia questa strada, eppure è mattino inoltrato di una bella giornata di primavera; la gente passeggia, chiacchiera e contratta sul prezzo della merce esposta nel mercato. E’ tutto un via vai di volti anche se molti di loro non posso vederli, so solo che sono donne come me. Questo velo che ci portiamo addosso ci rende tutte uguali, quasi ad annullarci come persone, quasi ad ammonirci come indegne di mostrarci per quello che siamo; a volte può essere un vantaggio, fare una smorfia indispettita senza essere vista è persino divertente, ma il divertimento dura poco, sopraffatto dal lamento costante che la nostra anima continua a recitare nella nostra testa e nel nostro cuore.
Passeggio, osservo, contratto perchè non posso spendere troppo, rischierei l’ira di chi mi aspetta a casa, di chi, in nome di Dio, mi racchiude in questo sarcofago di cotone per nascondermi agli occhi del mondo.
Giungo nella piazza principale del paese; c’è tanta gente, urlano, imprecano, puntano il dito, hanno pietre in mano. Ancora una lapidazione, ancora una punizione divina, ancora un omicidio che passerà inosservato, anzi peggio, che sarà legittimato, benedetto, ritenuto necessario per mantenere l’ordine, la disciplina, la fede.
Fede, parola strana se mi permettete il pensiero, perchè almeno quello non può essere udito e quindi punito.
Fede sta per fiducia e fiducia sta per contare su qualcuno sapendo che farà solo il nostro bene; eppure fatico a considerare come un bene il venire torturati e uccisi. Ma del resto cosa ne so io che nemmeno sono capace di leggere e scrivere: sposa a 12 anni, madre a 13, a 14, a 15, vecchia a 25. Cosa ne so io di cosa è bene e cosa non lo è; mi permetto di avere pensieri miei sapendo di peccare di superbia, perchè non dovrei averne: c’è chi può e deve pensare per me e indicarmi la via corretta per la mia vita.
Intanto tutto è pronto per il macabro rito della lapidazione e leggo, negli occhi dei numerosi intervenuti, l’ansia di scagliare la prima pietra (che strana espressione, non ricordo dove l’ho sentita).
Osservo ciò che accade per ricordarmi cosa mi potrebbe capitare se non rispettassi le regole e con un po’ di vergogna, ringrazio di non essere io lì, al centro della piazza a fare da bersaglio a tutta questa gente.
Vedo occhi rossi di odio, bocche da cui escono parole di disprezzo, mani e braccia che raccolgono e tirano sassi come se davanti si trovassero il demonio in persona.
Guardo e per una volta ringrazio di avere questo velo, perchè può nascondere le mie lacrime, celare la mia bocca serrata quasi a condividere il dolore di quella donna, proteggermi dal male del mondo come fanno le coperte del letto con i bambini, quando credono che ci sia un mostro nascosto dentro il loro armadio.
Guardo l’odio mascherato da giustizia, l’ignoranza travestita da fede, la follia scambiata per volontà divina…guardo e penso che tutto questo non può essere vero, penso che nessun Dio vorrebbe questo per il suo popolo, penso che tutto sia una immensa bugia che da secoli ci viene imposta per tenerci schiavi di noi stessi…penso anche se non dovrei farlo, ma lo faccio perchè non ho altro.
Fra tutti, c’è un uomo che non sta partecipando allo spettacolo, non attivamente perlomeno; anche lui guarda, trema ad ogni colpo mostrando nel volto e negli occhi una sofferenza molto simile alla mia, solo che lui non ha nulla che lo possa nascondere; so bene chi è perchè la donna al centro della piazza è la sua compagna da una vita, una vita che sta per finire perchè quella donna gli è stata strappata dalle mani e dal cuore da coloro che si arrogano il diritto di decidere per tutti.
Lui guarda, forse prega e a giudicare dallo sguardo è una preghiera sincera, di quelle che sanno di pietà, di misericordia, di amore.
Guarda fino alla fine, fino a quando persino la morte diventa una cosa da augurare a chi si ama, perchè quando si ama qualcuno non si può sopportarne una tale sofferenza; quando tutto finisce e la sete di sangue è placata, la gente si allontana mentre le spoglie della vittima di turno vengono malamente gettate su di un carro senza nemmeno quella dignità che si riserverebbe anche ad un animale; e poi solo un assordante silenzio fatto di urla mai gridate, lacrime mai piante, parole non dette.
Quell’uomo è ancora lì ad osservare mentre la sua sposa parte per il suo ultimo viaggio; non le ha potuto evitare il martirio, ma non l’ha colpita, non l’ha fatto, non avrebbe mai potuto farlo. So che per molti di voi sembrerà poco perchè in realtà avrebbe dovuto difenderla, ma dovete comprendere che noi non possiamo godere della libertà di andare contro il sistema, a meno di accettare che questo vorrebbe dire morire: quella pietra non lanciata, quella sofferenza palesata, quella preghiera recitata, quello sguardo pieno di amore e pietà sono una rivoluzione forse più potente di quante ne fate voi nelle piazze.
E’ una rivoluzione perchè è il segnale che un pensiero diverso c’è e sebbene occorreranno anni o forse secoli perchè abbia la meglio, il suo sopravvento sarà inevitabile; io lo so, anche non so leggere e scrivere.
Conosco bene quell’uomo e so che è un uomo giusto; però che strano, non ho mai saputo il suo nome, ma poco importa: per me, da oggi lui si chiama speranza.

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